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CHI C'È DIETRO LA MUSICA

C'è una storia di una persona che ha dedicato la sua vita alla musica e all'educazione dei giovani attraverso la musica e di suo figlio che vuole continuare l'opera divulgativa del padre.

Dietro la musica, si diceva, c'è una storia che potrebbe cominciare così:

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La notte tra il 31/12/2021 e il 01/01/2022 ho letto, tutto d’un fiato, il libro di Angelo Inglese sulla biografia di suo nonno che mi era arrivato il giorno prima.

Io conobbi il Maestro Lillino Inglese (mi permetto di chiamarlo così perché così lo nominava mio padre) a Molfetta intorno al 1965.

Mio padre ci tenne a farmelo conoscere per la stima e l’amicizia che a lui lo legava, essendo egli stato suo primo clarinetto nella Banda di Molfetta negli anni dal 1944 al 1946; ci muovemmo apposta quella mattina da Avigliano per arrivare a casa del Maestro.

Ricordo una persona elegante, in giacca da camera color nocciola, capelli neri, lisci, tirati all’indietro, un vistoso anello al dito, il volto scarno.

Fu molto contento della visita e ci tenne, a sua volta, a farci conoscere i suoi due gioielli Pinuccio, e Paolo.

Ci disse che erano entrambi clarinettisti e con fierezza, volle farci ascoltare una loro performance, anche per avere un’opinione da mio padre. I ragazzi accolsero l’invito del padre, ricordo, senza alcuna esitazione. Pinuccio col clarinetto si pose di fronte a noi che eravamo seduti su delle poltrone lungo una parete della stanza mentre Paolo si sedette al piano che era sulla parete opposta volgendo le spalle a noi e al fratello.

I due fratelli senza guardarsi suonarono con una intesa straordinaria e questo mi colpì molto. Dalla copertina dello spartito che era di fronte a me sul leggìo di Pinuccio si intravedeva il titolo del brano che io allora, poco più che dodicenne, non conoscevo ancora: Cavallini – Fiori Rossiniani.

 

Ricordo che papà diede qualche consiglio a Pinuccio e poi si trattenne ancora un po’ col maestro a scambiare notizie di vita e a ricordare il passato e gli amici comuni.

Pochi giorni fa, a distanza di 55 anni da quell’incontro impresso saldamente nella mia memoria, ho incontrato per caso sui social Angelo, il figlio di Pinuccio (vivaddio, i social servono anche a questo!) che mi ha parlato del suo libro “Si chiamerà Angelo”.

Devo dire che ho letto il libro con grandissima commozione, dovuta da un lato alla maestria dell’autore nell’aver saputo porgere la conoscenza degli avvenimenti della vita del nonno in maniera molto toccante e coinvolgente e dall’altra al fatto di aver ritrovato nel racconto episodi della vita del Maestro comuni a quella di mio padre e dei quali già ne conoscevo l’esistenza.

Mi riferisco in primis alla rifondazione della banda di Molfetta a cui papà partecipò come primo clarinetto segnalato al Maestro Lillino Inglese da qualche amico.

Non so dire perché papà non compare nella foto della banda, probabilmente quel giorno era assente oppure la foto fu fatta qualche tempo prima che lui si aggregasse al complesso.

Mio padre è venuto a mancare nel 2016, l’anno prima mi chiese di portarlo a Molfetta. Già da qualche tempo non deambulava e si muoveva con un mezzo a motore elettrico che io riuscivo a trasportare in macchina. Trovai parcheggio proprio sulla porta del borgo antico. Scaricai il mezzo, presi papà dalla macchina e lo collocai sul mezzo. Nel tempo che dovetti chiudere i vari sportelli della macchina, papà era sparito. Mi allarmai perché io non conoscevo le vie del borgo che evidentemente lui conosceva bene. Chiesi ai passanti se avessero visto un disabile su un mezzo elettrico e alla fine lo ritrovai sul porto vecchio. Mi arrabbiai tantissimo con lui ma egli senza scomporsi mi indicò due balconi al secondo piano di una casa che davano proprio sul porto. “Vedi”, mi disse, “io per due anni tra il 1944 e il 1946 ho abitato lì perché suonando nella banda del maestro Lillino Inglese, preferivo non spostarmi tutti i giorni da Barletta”.  Mi spiegò che prima il mare arrivava sin sotto la casa e che lui, durante le mareggiate vedeva gli spruzzi delle onde, che si rinfrangevano sui muri della casa, arrivare sino ai vetri del balcone della sua stanza.  

 

Anche i fatti della tragedia di Manfredonia sono coincidenti con i racconti tramandati da mio padre, una circostanza così tragica che segnò mio padre in modo indelebile e spesso me la narrava. Una volta provai a prendere appunti di quello che ricordava.

“Avevamo avuto una stagione intensa e ci furono due giorni di riposo. Io ne approfittai per tornare a casa a Barletta. Il terzo giorno, di pomeriggio, mi vennero a prendere per andare a suonare a Manfredonia il 15 e 16 luglio per la Madonna del Carmine. Si viaggiava nel cassone di due camion inglesi residuati di guerra del tipo Dodge dove erano posizionate tre file di panche di chiesa: due lungo le sponde del cassone e l’altra a centro. Il cassone in genere era coperto da un telone verde, ma quella volta non c’era perché era luglio. I camion si fermarono davanti alla statua di Eraclio. “Rizzitelli, Rizzitelli, vieni qua”. Io fui chiamato sia da un camion che dall’altro da amici che volevano che mi aggregassi a loro. Ne erano trenta su un camion e altrettanti sull’altro. Nel camion dove salii ero seduto al terzo posto della panchina di destra. Oggi, se da Barletta si deve andare a Manfredonia si fa la litoranea, ma a quell’epoca si doveva passare per Foggia. La strada Foggia - Manfredonia era asfaltata e procedeva in declivio dolce lievemente serpeggiando. Nei paesi in cui ci fermammo a volta andava avanti uno dei due camion, una volta l’altro e in questo caso eravamo secondi. Era tempo della mietitura, si vedevano i covoni a lato della strada. Ad un certo momento verso il 15° km prima di Manfredonia sentii uno scoppio che mi sembrava di uno pneumatico. Mi eressi e mi sporsi per bussare all’autista per avvisarlo, ma guardai la macchina che mi precedeva e mi accorsi che aveva il doppio pneumatico e, pensando che anche la nostra dovesse averne due, mi risedetti. Ma non feci in tempo a sedermi che il camion improvvisamente andò verso il centro della strada e si ribaltò verso destra quindi sopra di me. Io avevo sempre l’astuccio col clarinetto in mano. Il primo sulla panchina, certo Breglia (aveva un figlio ricoverato a Barletta ed era di Molfetta), fu pizzicato dalla sponda sulle natiche col resto del corpo dentro e morì. Il secondo era un ragazzo di circa quindici anni morto anche lui. Il flautista Rotondella, che era seduto al primo posto della panca centrale, morì schiacciato sotto la cabina. Io trovai un varco sul lato della sponda formatosi con la panchina e mi fiondai fuori con il clarinetto in mano. Fuori, un grande polverone, le ruote del camion che giravano in aria. Molti furono catapultati nei campi e io sentivo le loro grida di dolore per le ferite. Vidi tutti i passeggeri del camion che era davanti a noi correrci incontro. Io mi meravigliai di avere solo un dolore alla spalla. Uno ebbe le gambe tagliate, un altro rimase cieco per l’urto facciale con l’asfalto. Il fratello di Rotondella insisteva per alzare il camion ma si temeva per gli altri che erano rimasti sotto il cassone. Quando uscii mi tirai appresso il clarinettista Maldera di Andria che era svenuto (sembrava morto) lungo la sponda all’estremità del camion. In totale tre morti, cinque feriti gravi e tutti gli altri più lievi; io solo completamente illeso. Da Siponto arrivò una gru degli americani che stazionavano lì.”

Conservo il clarinetto di papà con la sua custodia originale che porta ben visibili le abrasioni procurate nel tragico incidente di Manfredonia.

Mio padre ebbe modo di portarmi sul posto dell’incidente per descrivermi dettagliatamente quello che avvenne quel maledettissimo giorno del 14 luglio del 1945.

Io, in seguito, ci sono passato più volte da quel posto, ora la strada è più larga rispetto alla prima volta che ci andai con papà ma quel luogo mi fa evocare ogni volta il polverone della terra che si sollevò nell’aria, le vittime sparse dappertutto nel campo di grano da poco mietuto e le ruote all’aria del camion che giravano.

Ma, oltre ai fatti, nella lettura del libro ho trovato nomi che molte volte ho sentito da mio padre.

 

L’amicizia comune con il timpanista Mario Beatello. Se per il Maestro Lillino Inglese quella amicizia fu determinante per la sua decisione di emigrare in Venezuela, per mio padre lo fu altrettanto per il prosieguo della sua carriera musicale perché fu Beatello che presentò papà nel 1947 agli impresari del Petruzzelli dove da allora occupò il posto di primo clarinetto sino a che, vincendo il concorso per Direttore di Banda ad Avigliano, emigrò definitivamente.

Tutti i nomi della prima banda di Molfetta a partire da Celicchie il bombardino, Raffaele Fiorentini, …Etc., sono sicuramente nomi che se mio padre avesse potuto leggere il libro di Angelo Inglese avrebbero destato in lui chissà quali ricordi riposti nella memoria e nel cuore. Ma anche Don Tonino Bello e Nino Rota che mio padre conosceva personalmente.

È stata dunque importante l’opera di Angelo Inglese nel raccontare l’epopea di suo nonno da Molfetta al Venezuela e poi ancora a Molfetta, per ricordare le opere del maestro che non potevano cadere nel dimenticatoio e per far conoscere a tutti la sua vita avventurosa ma intrisa di grandi successi, riconoscimenti e soddisfazioni.

La vita del Maestro Lillino Inglese è stata quella che avrebbe potuto essere la mia se mio padre non avesse avuto l’intenzione di distogliermi, dopo sei generazioni di musicisti, dai miei propositi.

Finita la scuola media papà mi disse: “Figlio mio io non so se avrò la possibilità economica di mandarti all’università e per tale motivo non posso mandarti al liceo ma è meglio che tu faccia una scuola che dopo cinque anni ti faccia trovare la possibilità di una professione.” Così feci il geometra.

Finito, però, che ebbi quel corso di studi papà mi disse che si poteva sfruttare la pensione della nonna, che ormai viveva con noi, per pagarmi gli studi universitari. Io gli dissi, invece, che avrei voluto fermarmi alla professione di Geometra e continuare parallelamente gli studi musicali per arrivare al diploma di clarinetto.

In realtà il mio sogno era quello di giungere poi a fare il direttore d’orchestra, ma questa era una mia cosa intima che non gli svelai.

Ne seguì una dura lotta: lui a convincermi di andare all’università e io a insistere di fare il musicista.

Alla fine, si trovò un compromesso. E fu così che andai a Bologna a fare ingegneria portandomi il clarinetto per suonare in qualche banda. Ma arrivato che fui a Bologna non trovai più il clarinetto nel mio sacco. Papà confessò di averlo tolto e fu così che mi appassionai talmente agli studi di ingegneria che trascurai la musica. Questo era quello che papà sperava.

Io questa cosa non gliel’ho mai perdonata.

 

Il libro di Angelo, però, ha avuto anche il pregio di farmi comprendere davvero le motivazioni della scelta di mio padre di tenermi lontano dalla musica come professione: troppe, evidentemente, erano state le testimonianze tangibili di precarietà e di innumerevoli sacrifici affrontati dalla vita di un musicista. Ha voluto per me una professione da ingegnere sicuramente più protetta e florida, senza però mai rammaricarsi del fatto che il talento musicale ha trovato in me, comunque, un varco permettendomi di completare, con passione e tenacia, gli studi musicali sino a fare il direttore d’orchestra.

Grazie di cuore allora Angelo per avermi fatto conoscere, attraverso il tuo libro, la vita di tuo nonno e, attraverso quella, di poter capire fino in fondo la vita di mio padre facendomi rivivere, per come fu realisticamente, la sua gioventù. Anche perché in qualche modo io mi sento discendente dalla scuola di direzione del Maestro Lillino Inglese attraverso gli insegnamenti di mio padre.

L’unico mio cruccio, e di questo ne sono davvero addolorato, è di non aver potuto risentire Pinuccio che, come mi ha detto Angelo, è venuto a mancare anch’egli l’anno scorso. Sicuramente avremmo ricordato quell’episodio della visita al Maestro e chissà quante altre cose.

                                                                                                             Gaetano

                                                   figlio del Prof. Ruggero Rizzitelli, primo clarinetto della banda di Molfetta nel 1944 - 46.

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